Nuove maggioranze politiche

Foto Knesset: https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g293983-d320842-Reviews-Knesset_Parliament-Jerusalem_Jerusalem_District.html

Nel romanzo Un americano alla corte di Re Artù, di Mark Twain, il  famoso scrittore americano, il personaggio principale si trova alla fine in una situazione così ingarbugliata e complessa che l’autore finisce la storia scrivendo che, siccome non sa come fare a concluderla, la lascia così, non finita.

Ed è questa la mia posizione nello scrivere il mio reportage su Israele alla fine del 2022, dopo le elezioni politiche svoltesi il primo di novembre e i conseguenti risultati. 
Oggi, all’inizio di dicembre, nonostante che il blocco della destra, guidato da Netanyahu del partito Likud coalizzato con i partiti religiosi, abbia la maggioranza assoluta alla Knesset con 64 seggi, non è riuscito a formare un governo nel tempo stabilito dalla legge. Quindi Netanyahu stesso deve richiedere al Presidente dello Stato un’estensione del tempo necessario per formare il governo stesso.

I 64 seggi della maggioranza alla Knesset sono così distribuiti: 

  • Likud 32 seggi, 
  • Partito Sionista Religioso 14 seggi, guidato da Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che rappresentano la corrente con idee messianiche e gli insediamenti nella Giudea e Samaria,  
  • Shas, il partito religioso “sefardita” controllato da Aryeh Deri, 11 seggi, e infine il 
  • Partito Giudaismo Unito nella Torà, “ashkenazita con 7 seggi.

Questa nuova, vecchia, coalizione rispecchia a mio parere la confusione che da anni esiste in Israele, dove, mancando una Costituzione, ogni legge può essere modificata da una nuova legge approvata dalla maggioranza alla Knesset.
E, a maggior ragione, se finora la Corte Suprema (Beit Ha-mishpat Ha‘elion) aveva il potere di stabilire se una certa norma, decisione o legge approvata dalla Knesset fosse legittima o no, attualmente il caso chiave per la costituzione di un governo è il rovesciare questa situazione. È quella che viene definita la Hitgabrut (superamento), cioè che il Parlamento ha la supremazia sulla Corte Suprema e può cambiare anche quelle Leggi Fondamentali che riguardano, per esempio, il Parlamento e il Governo e che tutte insieme avrebbero dovuto formare un corpus simile a una Costituzione.

Due situazioni sono particolarmente difficili da sbrogliare, anche se apparentemente le divergenze tra Netanyahu e gli altri partiti sembrerebbero essere sul come “spartirsi il potere”, frase ripetuta da vari importanti esponenti della nascente coalizione.
La prima riguarda Natanyahu stesso, che è sotto processo per varie accuse che potrebbero addirittura farlo finire in prigione. (Non è il primo caso in cui il Capo del Governo finisce in prigione, e anche un Presidente c’è finito.) La questione legale è se chi è accusato di reati che comportano la prigione possa essere eletto Capo del Governo; e, a maggior ragione, se possa essere nominato Ministro chi non solo è sotto processo ma è stato già condannato. 

Su quest’ultimo punto l’attuale legislazione è chiara: non è possibile. Ma questo è il caso di Aryeh Deri. Perché il suo partito possa approvare il nuovo governo ed essere lui nominato Ministro del Tesoro, Deri vuole che in primis venga cambiata dalla Knesset la Legge Fondamentale che regola il caso, ovvero che, pur essendo stato processato e condannato, sia possibile per lui divenire Ministro.  
Questi i casi legali più importanti. E non entro nel groviglio delle procedure necessarie per sciogliere questo nodo fondamentale della legislazione dello Stato di Israele e in particolare la Hitgabrut che, se approvata, minerebbe il principio della divisione e indipendenza dei poteri, quello giudiziario da quello legislativo. Ovvero Corte Suprema versus la Knesset.

Vi è poi il problema della spartizione del potere.

I partiti religiosi vogliono essenzialmente due cose: 

  • Leggi e regolamenti che riflettano la Halakhà, rispetto ad una legislazione laica come sarebbe necessaria per un Paese moderno liberale. Questo concetto si applicherebbe a tutta la Terra di Israele dal Mare al fiume Giordano, ignorando ogni possibile soluzione del problema della popolazione palestinese. 
  • Ministeri che diano a loro potere economico, esemplare il caso Deri che vuole essere Ministro del Tesoro. Sulle altre richieste di potere dei tre partiti religiosi non posso dilungarmi, ma tutte hanno lo stesso scopo: fare di Israele una teocrazia.

Il nocciolo del problema è e rimane Netanyahu.  Per rimanere al potere e non far continuare il suo processo fino a una possibile condanna, è disposto a distruggere lo Stato democratico. 
Questa tendenza a governi autoritari, nazionalisti e antidemocratici è un fenomeno mondiale e non c’è bisogno che io ne dia esempi – i lettori di Toscana ebraica li conoscono.
Purtroppo questa tendenza minaccia anche i rapporti tra gli ebrei di Israele e quelli della Diaspora, già molto tesi. Si pensi solamente alla questione numero uno: “chi è ebreo” (e chi ha il potere di deciderlo).
Una  terza grave richiesta da parte dei partiti religiosi è di dare la facoltà al Ministero dell’Educazione di cambiare i programmi secondo particolari esigenze, e così rendere più facile l’indottrinamento di particolari gruppi religiosi o etnici. In tal modo, invece di cementare la solidarietà nazionale, si accresce la tensione tra i diversi gruppi che non hanno più un nocciolo di educazione comune.
Un mio caro amico di origine italiana, religioso ma liberale, con il quale discutevo della situazione e della difficoltà di descriverla mi ha detto: «devi scrivere che ci sono diversi modi di vivere una vita da ebreo.» 

Come Mark Twain, non so proprio dove potremo andare a  finire. 

Ai lettori l’ardua sentenza.

La Redazione di Toscana ebraica esprime tutta la sua apprensione e preoccupazione per i possibili sviluppi della situazione politica in Israele così come espressi da Tullio Sonnino e, pur comprendendo le difficoltà che il Paese cui siamo fortemente legati si trova a dover affrontare, si augura che mai si avverino le previsioni più tragiche che ne potrebbero falsare l’identità.

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