Cercando Rita Landmann nella “terra dell’uomo”

Nozze di Rita Landmann e Max Haim. Sidney, 1948.
https://polishexpress.com.au/doctor-kamien-traces-footsteps-of-the-jew-of-wanaaring

Tra le storie degli internati in Maremma tra il 1940 e il 1944 mi è particolarmente cara la vicenda di Rita Landmann che aveva all’epoca tra i 15 e i 19 anni, l’età dei miei studenti. Ho cercato le tracce della sua famiglia, il cui cognome significa “terra dell’uomo”, e della fuga alla ricerca di umanità, in un arco di tempo che va dalla dissoluzione dell’Impero austroungarico ai nostri giorni.
Ho ricostruito la storia di tre dei nove fratelli Landmann: Simon, Moses e Mendel, che subirono l’internamento in Italia e che contrassero matrimonio con cristiane. Le loro spose li seguirono per tutta la vita, affrontando insieme anche i momenti più terribili, come la deportazione e l’internamento, a dimostrazione che l’amore supera tutti gli ostacoli. 
Il nonno paterno di Rita era Jacob Landmann, classe 1868, coniugato con Bine Goldfarb; i due vivevano a Lezajsk, nel regno di Galizia, e le loro famiglie erano dedite alla lavorazione del cuoio e dell’oreficeria. Nella cittadina, che all’epoca formava parte dell’Impero austroungarico ed oggi è Polonia, nacquero i primi quattro figli alla fine dell’Ottocento, il primogenito Simon nel 1891, Moses l’anno seguente, poi Sabine e infine Mendel nel 1898. Jacob formalizzò il matrimonio solo nel 1900 per espatriare in Germania, perché l’Impero asburgico non riconosceva agli ebrei le nozze rituali e li obbligava a registrare le unioni civili presso il governo. 
I Landmann e tutti i fratelli della nonna Bine, i Goldfarb, si trasferirono a Monaco di Baviera da Lezajsk nel 1902, a seguito di una stagnazione economica che aveva portato molte famiglie a cercare fortuna nelle capitali europee. A Monaco nacquero anche i fratelli più piccoli, Fanny, Heinrich, Lola, Alfons e Dora, in tutto nove. Simon lavorò con il padre e i fratelli nella vendita al dettaglio; gli affari andavano bene e vivevano nel cuore della città. Poi Simon fu arruolato nella Grande guerra, anche se aveva problemi di udito. Al rientro si legò a Katharina Sattler che sposò nel 1922 nella sinagoga di Monaco. La ragazza, incinta di tre mesi, era cattolica ma prima del matrimonio si convertì all’ebraismo; il loro era considerato dalle autorità civili un matrimonio “misto” come quello di Moses con Barbara Eckel negli anni Venti e quello di Mendel con Elena Marconi negli anni Quaranta. 
Mentre a Monaco Hitler tentava il colpo di Stato, nel 1923 venne alla luce il primogenito di Simon e Katharina, Arthur, e due anni dopo nacque Rita, proprio quando Hitler pubblicava Mein Kampf. Nonostante le oggettive difficoltà la comunità ebraica era ancora prospera e, negli anni Venti e Trenta, 1.700 negozi a Monaco appartenevano agli ebrei. Addirittura, i Landmann aprirono nel 1928 un’azienda nel settore calzaturiero e tessile.
Poco dopo, però, la situazione precipitò a causa della congiuntura internazionale e per l’avvento del nazismo. Nel 1930 la loro ditta fallì per la Grande depressione e i fratelli dovettero trasferirsi in quartieri più economici. Dal 1933 si intensificava il processo di arianizzazione fino a quando la situazione si fece drammatica, dopo le Leggi di Norimberga e la Notte dei cristalli. Vani furono i tentativi di sottrarsi alle persecuzioni cambiando più volte residenza. Rita, che non aveva potuto proseguire gli studi, lavorava da sarta. Suo cugino Walter, figlio di Moses, che era nato nel 1927, interruppe la scuola perché non poteva entrare nella gioventù hitleriana. Walter, il principale narratore della storia dei Landmann, ricordava i colpi di mitraglia sparati contro lui e la madre mentre andavano a comprare il pane ed il padre tornare a casa con il volto insanguinato dalle percosse.

Intanto Bine e tre dei suoi fratelli morivano a Monaco tra il 1933 e il 1939; tutti gli altri cercarono di fuggire dalla Germania, emigrando in America, Palestina, Australia, Inghilterra. Il figlio quindicenne di Simon, Arthur, si rifugiò in Palestina. Sabine sposò un inglese e si trasferì a Londra, nonno Jacob raggiunse l’Australia con i figli più piccoli. I fratelli Landmann tentarono di espatriare a Trieste, dove Mendel si era trasferito da Parigi. Dopo la detenzione nel quartier generale della Gestapo, Moses raggiunse l’Italia con la moglie. Nel 1940 arrivarono anche Katharina e Rita, forse con il cugino Walter, mentre Simon si unì a fine aprile. Nel maggio 1940 le famiglie di Simon e di Moses attendevano a Trieste di imbarcarsi per la Libia, per raggiungere poi la Palestina o l’Australia. Sebbene fossero state chiuse dalle Leggi razziali le associazioni sioniste, i Landmann contavano sull’aiuto di alcuni familiari per trovare una nave. Mendel tentò un’altra via di fuga, ma fu catturato e internato a Notaresco. In circostanze da chiarire i Landmann arrivarono con altri profughi nel maggio 1940 a Bengasi dove furono ospitati dagli ebrei bengasioti, con il sostegno della Comunità israelitica e della DELASEM di Genova.  Con l’entrata in guerra dell’Italia si pose però fine alla navigazione civile. Gli ebrei furono considerati dal governo italiano nemici e pericolosi e furono confinati nella caserma Torelli. Quando questa fu cannoneggiata,i profughi vennero trasferiti per un mese in un lager-baraccopoli nel deserto, a 200 km da Bengasi, non lontano da El Agheila. Ma, per l’avanzata inglese nella Cirenaica, il ministero ordinò il loro internamento nel più grande campo italiano: Ferramonti.

Il gruppo partì da Bengasi il 25 agosto sull’Esperia, scortata da due cacciatorpedinieri, ma le imbarcazioni furono intercettate dai francesi nei pressi di Capo Bon, in Tunisia, e dovettero tornare indietro. Il 29 ripartirono per Napoli con il terrore di un nuovo scontro. All’arrivo i profughi vennero condotti con un imponente schieramento di polizia al carcere di Poggioreale. Raccontava Walter: «Condividevo la cella con mio padre e un altro ragazzo. Non ci lasciavano mai uscire e ci divertivamo cacciando gli [sic] orribili e puzzolenti cimici dei letti…».
Il 29 settembre 1940 raggiunsero Ferramonti, dove Simon e Moses si ricongiunsero con Mendel. 

Famiglia Landmann, Monaco di Baviera tra il 1914 e il 1918. Manca Simon, che era arruolato in guerra. 
https://www.internamentoveneto.it/wp-content/uploads/2021/03/Le_Porte_della_Memoria_2014_fascicolo.pdf

Raccontava Walter:

… aleggiava nell’aria uno strano senso di attesa, di allerta… L’esistenza del campo stesso calpestava la nostra dignità… La zona era insalubre, paludosa e malarica… ero stato incaricato di distribuire le pillole di chinino contro la malaria agli abitanti del nostro settore… Sottoposti a due o tre appelli giornalieri, eravamo eccezionalmente autorizzati ad uscire per visite mediche o altre necessità. Si organizzavano partite di calcio, piccoli spettacoli… guardavo con occhi stupiti da adolescente il capo baracca o il capo campo… le vere autorità di quella strana comunità…

Per il sovraffollamento di Ferramonti molte famiglie furono internate nell’Italia del Centro-Nord. Nell’autunno 1941 trasferirono Mendel e la famiglia di Simon nel comune di Arcidosso. La famiglia di Moses venne invece inviata ad Arsiero, nonostante le proteste, perché Arcidosso sembrava più sicuro di Arsiero, così vicino al confine tedesco.E infatti Moses, Barbara e Walter furono arrestati ma, il 30 gennaio 1944, mentre erano condotti ad Auschwitz, vennero eccezionalmente rilasciati a Vicenza, dopo le disperate proteste di Barbara, che gridava di essere “ariana” e di avere parenti tra gli ufficiali. Pochi giorni dopo i tre raggiunsero la Svizzera attraverso le montagne con i partigiani, oggi riconosciuti come “Giusti tra le Nazioni”.

Mendel e la famiglia di Simon vennero reclusi nella frazione di Monticello, tra Cinigiano e Arcidosso, il 18 settembre 1941. La povertà costrinse tutte le famiglie a chiedere aiuto alla DELASEM per l’acquisto di indumenti. Il podestà di Arcidosso tentò continuamente di requisire i loro alloggi, prima per darli ai profughi giuliano-dalmati, poi agli sfollati grossetani. Ed aggiungeva che bisognava «eliminare le amicizie che fanno gli ebrei stranieri», concludendo che «è necessario che i medesimi siano internati in un campo di concentramento». Durante l’autunno 1942 si verificò un fatto eccezionale: Mendel si sposò ad Arcidosso con Elena Marconi, che lo aveva raggiunto da Trieste e che forse condivise con lui gli ultimi momenti dell’internamento maremmano. Certo è che Elena rimase incinta e che, quando Mendel fu deportato in Germania, tornò a Trieste dove a giugno 1944 dette alla luce Maria Grazia. 

Il 12 dicembre 1943 tutti gli ebrei – italiani e non – che risiedevano in varie località della Maremma furono condotti nel campo provinciale di Roccatederighi, in attesa del viaggio verso i lager per lo sterminio. I Landman vennero selezionati per il primo trasporto a Fossoli, avvenuto il 17 aprile 1944. Il 2 agosto i destini dei Landmann si divisero. Gli uomini – Simon e Mendel – furono deportati ad Auschwitz, Katharina a Bergen Belsen, Rita a Ravensbruck.

Simon morì presumibilmente il 31 dicembre 1944. Mendel, fu trasferito prima a Mauthausen poi al campo di Ebensee-Solvay, dove venne liberato il 5 maggio 1945. Due mesi dopo rientrò a Trieste, per ricongiungersi alla moglie e alla figlia e preparare, con l’aiuto dell’UNRRA, l’espatrio a Sydney. Qui lavorò forse nell’azienda tessile dei fratelli e morì nel 1970.

Katharina sopravvisse alle angherie e all’epidemia di tifo che decimò gli internati di Bergen Belsen fino alla liberazione, avvenuta il 15 aprile 1945. Subito dopo si affidò all’American Joint Distribution Committee per rintracciare i propri familiari. 

Rita resistette a Ravensbruck, agli “esperimenti”, alle epidemie di poliomielite, alla marcia della morte, fino alla liberazione del 30 aprile 1945. Iniziò poi un percorso di due anni in vari campi profughi di tutta l’Europa, alla ricerca dei familiari e per ottenere i documenti per l’espatrio. Rita risiedette a Deggendorf, a Parigi, si recò a Monaco di Baviera e a Francoforte, infine lavorò all’Ufficio passaporti delle Nazioni Unite di Marsiglia. Un giorno un collega le disse che aveva incontrato una donna che poteva essere sua madre. Non era lei, ma quella donna conosceva Katharina, che lavorava come sarta. Mamma e figlia così si riunirono a Marsiglia, fino a quando nel 1947 salparono per l’Australia. Nello stesso anno anche la famiglia di Moses raggiunse Sidney, dopo un periodo a Monaco di Baviera. In Australia, Walter completò gli studi universitari e divenne ingegnere. 

Dall’arrivo in Australia la vita di Rita seguì una traiettoria comune a molte famiglie, anche se la società sottolineava sempre una loro “estraneità”, per la loro fede e per il destino di persecuzione che avevano subito. Mentre lavorava con la madre in un’azienda di biancheria, Rita conobbe Marcel Haim, detto Max, che era arrivato dalla Polonia nel 1939 e che sposò l’anno seguente nella sinagoga di Sidney. Due anni dopo nacque Geoffrey. Max e Rita lavorarono duramente come ambulanti e poi riuscirono a comprare a Wanaaring un hotel. In questo albergo nel 1970 avvenne un omicidio: il funzionario che interrogò Rita in quanto proprietaria la descrisse come una donna elegante e curata, con il tatuaggio del lager sul braccio sinistro. Sua madre Katharina morì nel 1990, all’età di 91 anni, ricordata per il coraggio con il quale seppe affrontare tutte le avversità della vita. Qualche anno prima era deceduto Max, e a lui fu intitolato un parco per il suo impegno nello sport. Geoffrey si laureò, si dedicò al canto, formò la sua famiglia e visse vicino alla residenza per anziani dove Rita si spense nel 2018.

Per molti anni ho seguito tenacemente negli archivi le tracce di questa famiglia, ho tentato di recuperarne i nomi, le identità, per oppormi alla distruzione delle vite e della memoria.

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