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Nella seconda metà degli anni Cinquanta e per tutti i Sessanta del XX secolo, l’Università di Varsavia è stata un importante centro di vita intellettuale. In particolare, la facoltà di Filosofia fu universalmente riconosciuta come istituzione guida in campo filosofico, soprattutto nel settore della Logica, dove portò avanti la tradizione ancora vitale della Scuola logica di Leopoli, che non per niente è oggi nota come Scuola di Leopoli-Varsavia e che ha esercitato un importante influsso anche nel contesto internazionale. In quegli anni erano ancora viventi e in attività gli allievi del fondatore della Scuola, Kazimierz Twardowski (1866-1938): Tadeusz Kotarbiński (1886-1981), Władysław Tatarkiewicz (1886-1981) e Kazimierz Ajdukiewicz (1890-1963). Ma accanto a loro si stava affermando un gruppo di studiosi di scuola marxista, destinati a conquistarsi un posto di rilievo nel panorama culturale, non solo polacco: giovani comunisti come Adam Schaff (1913-2006), Leszek Kołakowski (1927-2009) e Zygmunt Bauman (1925-2017), fautori di un’interpretazione del pensiero di Marx non sempre collimante con quella degli ideologi del Cremlino.
Presto considerata un centro di pericolosi revisionisti ideologicamente ribelli, la Facoltà fu sottoposta a stretta sorveglianza da parte delle autorità governative, nelle cui intenzioni essa avrebbe dovuto diffondere e far prevalere nell’ambiente accademico l’ideologia marxista di stampo ortodosso, cioè moscovita. Nel 1968, in seguito allo scoppio di violenti moti studenteschi antigovernativi, moti appoggiati dal ceto intellettuale e da una consistente parte del mondo accademico, la Facoltà venne chiusa e fu avviata una campagna antisemita su vasta scala con il pretesto di uno stretto collegamento fra la “politica imperialista” di Israele (Paese con il quale già l’anno precedente l’Unione Sovietica aveva interrotto i rapporti diplomatici) e i moti di protesta polacchi, cui aveva aderito un certo numero di studenti e di intellettuali ebrei. Contro questi ultimi furono così presi drastici provvedimenti come l’allontanamento dal posto di lavoro, la proibizione di pubblicare e l’espulsione dal partito qualora ne facessero parte. L’immediata conseguenza fu che un grande numero di ebrei, stimato intorno a 20.000, fu costretto a un’emigrazione forzata foglio di via per Israele, e privato della cittadinanza polacca.
Fra questi fuoriusciti si trovava il sociologo polacco di origine ebraica Zygmunt Bauman con la propria famiglia. Formatosi nella facoltà di Filosofia dell’Università di Varsavia, aveva iniziato lì la sua carriera di studioso, fino a ricoprire la cattedra di Sociologia.
Proprio a Bauman, uno dei più conosciuti pensatori del nostro tempo, è dedicato un poderoso volume biografico di Izabela Wagner (I. Wagner, Bauman. A biography, Polity Press, Cambridge and Medford, Massachusetts 2020). Classe 1964, l’autrice insegna Sociologia presso il Collegium Civitas di Varsavia (una scuola superiore di Scienze politiche) e collabora con l’Institut Convergences Migrations di Parigi. Ha tenuto conferenze alla Harvard University, a New York, Shanghai e Roma.
Dal 2016 vive in Italia, in Sardegna. Dopo le edizioni inglese, polacca e portoghese dell’opera, sono in preparazione le edizioni spagnola, coreana e cinese. Una notevole parte del materiale usato per la ricostruzione della vita di Bauman è costituita da colloqui avuti dalla Wagner con la vedova, Aleksandra Jasińska-Kania, le figlie e gli amici e colleghi dello studioso. Sono stati utilizzati anche scritti inediti di Bauman.
Essendo destinato a lettori di lingua inglese che, pur conoscendo almeno le principali opere di Bauman, sono privi di specifiche conoscenze sulle vicende storiche della Polonia, il volume contiene numerose informazioni anche sulla storia e la cultura di questo Paese. L’autrice dedica ampio spazio alla ricostruzione dell’ambiente universitario nel quale Bauman lavorò, prima in Polonia, poi in Israele e in Gran Bretagna. Oltre alla ricostruzione delle vicende personali e scientifiche di Bauman, il libro ha un obiettivo ben preciso, ovvero dimostrare come l’antisemitismo e la xenofobia che caratterizzano buona parte della società polacca abbiano condizionato in modo determinante tutta la vita dello studioso, dagli anni di scuola nella nativa Poznań al periodo trascorso nell’esercito, dal quale fu espulso in quanto ebreo, e infine all’università, dalla quale fu ugualmente estromesso. Ancora prima dell’espatrio, i suoi libri furono ritirati dalle biblioteche e dalle librerie in quanto considerati opera di un revisionista. Inoltre, la censura proibì agli altri studiosi di citarlo, condannandolo a un lungo oblio.
Secondo la Wagner, anche le accuse mosse contro Bauman dall’odierno governo di destra (per esempio di aver collaborato con i servizi segreti sovietici e di aver partecipato a mano armata in un corpo speciale contro gli avversari del regime comunista che andava instaurandosi all’indomani della Seconda guerra mondiale), non corrispondono alla verità e non trovano conferma nei documenti, avendo la loro unica ed effettiva motivazione nell’antisemitismo e nell’invidia per il successo internazionale di questo studioso. Peraltro Bauman, al contrario di altri intellettuali comunisti come Kołakowski, non rinnegò mai le proprie convinzioni, restando un uomo di sinistra fedele ai propri ideali socialisti.
Come detto, in Polonia Bauman è diventato una sorta di nemico mitico, una «pecora nera», per riprendere le parole usate nella biografia della Wagner: nel giugno 2013, a causa delle contestazioni organizzate da gruppi ultranazionalisti, antisemiti e fascisti, gli fu impedito di tenere le conferenze che erano state programmate a Wrocław, e nello stesso anno, in occasione di un viaggio a Tallinn, durante uno scalo all’aeroporto di Varsavia, fu aggredito fisicamente da un nazionalista. Senza contare che, anche dopo la caduta del comunismo, non gli venne restituita la cittadinanza polacca di cui era stato privato nel 1968.
Uno dei segni della stima di cui Bauman ha goduto nel mondo universitario è il fatto che ben diciotto atenei gli hanno conferito il titolo di Dottore honoris causa. In Italia il suo pensiero ha avuto particolare risonanza e gran parte delle sue opere sono state tradotte. Questa fortuna ha avuto inizio nel 1989 quando gli fu conferito un premio dalla Società italiana di sociologia. Di tutti i Paesi che visitò l’Italia era il suo preferito: amava le sue città, i monumenti, i paesaggi, il cibo. Ogni viaggio in Italia fu per lui una grande festa e questo sentimento era ricambiato.