Leone Ambron e la Galleria d’arte moderna di Firenze

Tra le donazioni più importanti confluite nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti a Firenze figura quella dell’ingegnere Leone Ambron (1886-1979). La collezione, composta da quasi quattrocento opere d’arte che spaziano dal periodo macchiaiolo all’epoca a lui contemporanea, non è giunta in un unico momento, ma è stata versata con donazioni parziali dal 1947 al 1982.

Il primo quadro donato da Leone alla Galleria fu un’opera di Albert Saverys, raffigurante Anversa. L’opera fu acquistata da Leone alla Biennale di Venezia nell’agosto del 1938, poche settimane prima che l’annuncio della proclamazione delle Leggi razziali modificasse il destino di Ambron e di tutti gli ebrei presenti all’epoca in Italia. Le sue intenzioni non cambiarono neanche dopo le “volontarie” dimissioni dal suo importante incarico come dirigente dell’Istituto Nazionale di Assicurazioni (INA) a Roma. L’opera giunse in Galleria tra la fine del 1938 e l’inizio del 1939. L’allora soprintendente Filippo Rossi scrisse a Leone contestualmente due lettere, fino ad ora rimaste inedite. Nella prima, istituzionale, si limitò a descrivere le motivazioni che avevano portato alla mancata pubblicità dell’offerta in dono: 

Vogliate scusarmi se con tanto ritardo. Vi ringrazio per il bellissimo e graditissimo dono che avete voluto fare alla Galleria d’arte moderna fiorentina, ma il dipinto di Albert Saverys è giunto proprio nel periodo in cui avveniva il concentramento delle opere d’arte antica e moderna per la Golden Gate Exibition di San Francisco in California, che per ordine di S. E. il Ministro della Educazione Nazionale dovevano essere esaminate, imballate e spedite […]. In attesa di comunicare nella prossima adunanza alla Commissione […] vi prego di accogliere l’espressione della mia riconoscenza per aver arricchito con opera così pregevole la nostra raccolta. 

Nella seconda lettera, personale e manoscritta, Rossi fece invece trapelare l’imbarazzo e il dispiacere per la situazione: «Alla lettera ufficiale voglio unire anche parole personali di scusa per l’incresciosa dimenticanza di tanto doverosi ringraziamenti, a nome pure del Prof. Poggi […]». 

Il rapporto di stima reciproca tra Leone e i due membri della Commissione della Galleria, come del resto si era verificato con i colleghi dell’Istituto INA, rimase costante e inalterato anche negli anni successivi. Poggi e Rossi non dimenticarono quell’episodio e appena fu possibile, trovarono il modo per dare la meritata pubblicità alla generosità di Ambron. L’occasione giunse il 5 marzo del 1947, quando Leone scrisse a Giuseppe Poggi una lettera con l’offerta di 42 opere di pittori Macchiaioli: 

La mia intenzione è di far dono alla Galleria d’arte moderna di Firenze della raccolta di quadri di artisti toscani dell’Ottocento, raccolta certamente modesta ma che comprende alcuni pezzi interessanti come il “Ritratto della Cugina Argia” e della “Seconda moglie” di Fattori. A tale scopo sarò grato se codesta spett.le Soprintendenza vorrà far esaminare i dipinti di cui trattasi e che sono elencati nel foglio allegato per decidere quale di essi meritino di essere esposti al pubblico, perché naturalmente preferirei conservare quelli che non sembrassero adatti all’uopo, in relazione anche allo spazio di cui la Galleria attualmente può disporre. 

La minuta della nota di risposta di Giuseppe Poggi, redatta due giorni dopo e conservata nell’Archivio storico della Galleria, non è solo una lettera di ringraziamento, ma è l’occasione per esprimere a livello istituzionale quanto era stato omesso nel 1939: 


il dono che ella intende fare alla Galleria della sua raccolta di dipinti toscani dell’Ottocento costituisce un incremento di valore eccezionale, per il quale Ella si acquista di diritto ad essere considerato fra i più benemeriti di quanti fino ad ora hanno contribuito a far prendere alla Galleria d’arte moderna un posto di notevole rilievo tra tutte le altre insigni raccolte artistiche fiorentine. Dell’amore che Ella porta alle nostre raccolte Ella aveva già dato tangibile prova con il dono di un dipinto di A. Saverys, dono fatto quando le inique leggi del tempo non potevano neppure consentire che vi fosse manifestata pubblicamente la nostra gratitudine; la donazione presente rinnova in maniera non superabile il titolo alla riconoscenza della città e di quanti hanno a cuore il patrimonio artistico italiano. 

Per quanto riguarda il valore intrinseco delle opere d’arte offerte, Poggi non aveva dubbi: erano tutti indiscussi capolavori. La lettera infatti si conclude con l’indicazione dei passi successivi da intraprendere per formalizzare l’accettazione del prezioso dono: «Corrispondendo al suo desiderio farò esaminare i dipinti compresi nella donazione, pur essendo persuaso, dalla lettura dell’elenco, che nessuno di essi sia immeritevole di esposizione; dopo di che sarò grato se Ella vorrà prendere gli appositi accordi col direttore della Galleria dr. Rossi per l’effettivo ritiro dei dipinti stessi». La relazione sulle opere giunse sulla scrivania di Poggi in pochissimo tempo. Rossi, oltre ad accettare le 42 opere proposte, ne aggiunse altre 9 alla lista. Tra queste Strada toscana (Cipressi) di Giuseppe Abbati, acquistata nel 1932 dal padre di Leone, Eugenio, e concessa nel frattempo da Ambron in temporaneo deposito alla Galleria d’arte moderna di Roma. 

Già il 22 maggio l’intera donazione risulta a Palazzo Pitti. L’intenzione era quella di esporre nel minor tempo tutti i quadri in Galleria, ma questo tuttavia non fu possibile. Il problema logistico della mancanza di spazi del museo si inseriva nel ben più ampio progetto di restauro e riallestimento postbellico di Palazzo Pitti. A seguito dell’inizio del conflitto, tutte le opere d’arte ivi esposte erano state ricoverate in alcune ville del contado. Finita la guerra si doveva pensare alla loro ricollocazione. Secondo la testimonianza di un cronista dell’epoca, i lavori necessari per l’apertura delle nuove sale destinate alla Collezione Ambron, furono lunghi e complessi: 

[…] non è stata di sicuro fatica lieve riordinare questo secondo piano di Palazzo Pitti, provato com’era stato in modo tristo dalla guerra, dai tedeschi che vi si erano intanati e, poco dopo, anche dagli sfollati che vi avevano dovuto, dopo, trovar rifugio e, spinti dalle necessità del momento, erano stati perfino costretti a improvvisar cucine entro le vetustissime mura. Ma il soprintendente alle Belle Arti, prof. Poggi, e quanti altri hanno lavorato con lui non hanno conosciuto impazienze. Mesi e mesi di lavoro. Principalmente dalla disinfestazione delle sale, invase da ogni sorta di parassiti, e terminare col ridorar le cornici.

L’allestimento delle opere donate fu curato dallo stesso Leone. Il successo della mostra – inaugurata il giorno della riapertura generale della Galleria d’arte moderna e prorogata più volte nel corso del biennio successivo – probabilmente fu il motivo che indusse Leone a proporre una nuova serie di quadri a Giuseppe Rossi. Nella primavera del 1956 Leone inviò a Palazzo Pitti 49 opere; il primo luglio furono presentate al pubblico nelle nuove due sale, dette “del Fiorino”, e il 9 novembre la donazione fu perfezionata con l’arrivo degli ultimi 6 quadri. 

Assieme ad un nutrito gruppo di capolavori dei Macchiaioli, dipinti da Lega, Signorini, Cecioni e Cabianca, giunse in Galleria una preziosa selezione di opere del primo Novecento, realizzate da Spadini, Soffici, De Pisis, Casorati e Sironi, solo per citare alcuni nomi. A differenza della prima donazione, il destinatario delle opere fu lo Stato italiano, e non il Comune come era avvenuto nel 1947. Di fatto la destinazione espositiva era comunque e in entrambi casi la Galleria d’arte moderna, tuttavia è interessante sottolineare la variazione (risultata inedita) fatta in corso d’opera e documentata ancora una volta nel Fondo Ambron. Per questa donazione e per il contemporaneo legato a Palazzo Davanzati, Leone fu insignito «della medaglia d’oro per i benemeriti della cultura» dall’allora ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonnella. Nella bozza del discorso, conservata nell’Archivio storico della Galleria, è ben esplicitato che persone come Ambron rappresentavano per i musei italiani «un esempio che è augurabile trovi imitatori». La generosità di Leone non si fermò: nel 1961 donò anche 4 opere alla Galleria d’arte moderna di Roma e nel 1972 10 alle Gallerie degli Uffizi. Alla fama di Ambron collezionista si aggiunse quella associata alle donazioni fiorentine, elemento che generò un interesse particolare da parte di alcuni artisti italiani dell’epoca. In almeno due occasioni, tuttavia, il ruolo avuto da Ambron nella costituzione della Galleria d’arte moderna fu travisato. In una lettera fino ad oggi inedita, Salvatore Fiume infatti scrive: «il segretario della I Mostra dei Pittori siciliani mi ha dato notizia dell’acquisto da parte Sua, per conto della Galleria d’arte moderna di Firenze, del mio quadro “isole” esposto a questa mostra. Poiché non mi sfugge l’importanza che la cosa riveste desidero rivolgere a Lei i miei più vivi ringraziamenti». Dello stesso tono anche la lettera di Alfonso Pone: «[…] poiché mi dicono che Lei è un vero appassionato e molte opere della sua collezione sono state donate alla Galleria d’arte moderna di Firenze, sono lieto di cederle il dipinto al prezzo offerto». L’opera in oggetto era La pianta sul muro, esposta nel 1963 alla Strozzina. Non abbiamo la minuta di risposta a Pone, ma rimane quella a Fiume, dove Ambron precisò quanto segue: «io non acquisto opere per conto della Galleria d’arte moderna ma sono solito donare alla Galleria stessa quadri da me acquistati, come ho fatto per un gruppo di macchiaioli e per un altro di opere del primo Novecento. Per le opere di artisti più giovani ciò potrà avvenire però soltanto quando la Galleria disporrà di altri locali che per ora mancano».

La quarta e cospicua donazione di opere d’arte da parte di Ambron avvenne alla fine del 1964. Tra novembre e dicembre di quell’anno in Galleria giunsero altri 81 quadri: oltre ad un piccolo nucleo di opere dei Macchiaoli, il citato Paesaggio “fontanesiano”, attribuito da Dragone a Ravier, e una buona selezione di arte contemporanea compresa una Composizione metafisica di Giorgio De Chirico. Nel 1965 Leone offrì in dono altre 28 opere, di queste solo 7 furono accettate – nel 1970 – assieme ad altre 18 proposte quell’anno. Sempre nello stesso periodo giunsero in deposito a Palazzo Pitti altri 5 quadri. Con la morte di Leone, avvenuta nel 1979, le successive donazioni furono perfezionate e implementate dalla sorella Luisa. 

Una selezione dei più importanti capolavori donati da Leone Ambron è esposta nella Sala 19 della Galleria. Sono per lo più le opere dei Macchiaioli – Fattori, Signorini, Lega, Cecioni – vere eccellenze che hanno portato il museo ad avere una delle più rinomate raccolte del periodo. Il resto della Collezione è custodito nei depositi di Palazzo Pitti.

La Collezione Ambron esposta nel 1948 nella Galleria d’arte moderna. ASGAM, Fondo Ambron.

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