I cimiteri ebraici e acattolici di Livorno: storia e memoria in un recente volume di Lucia Frattarelli Fischer

Cimitero della Nazione Israelitica a Livorno oggi scomparso. Incisione, 1825

La parola e il marmo: questo accostamento molto evocativo dà il titolo all’ultimo saggio di Lucia Frattarelli Fischer, incentrato sui cimiteri ebraici e acattolici edificati, a partire dal XVII secolo, nella città di Livorno, porto del Granducato di Toscana ben noto per essere divenuto nel corso dell’età moderna un luogo di incontro di numerose, eterogenee identità. Pubblicato per le Edizioni ETS di Pisa da soli pochi mesi, il volume costituisce già un caposaldo per coloro che si dedicano alla storia della “Città delle Nazioni” o che semplicemente vogliono scoprire di più sul passato straordinario della piazza labronica. Il libro è concepito infatti come una guida, solida dal punto di vista della ricerca ma agile nella forma, che consenta di seguire un percorso attraverso luoghi che testimoniano il processo insediativo delle comunità straniere e raccontano la vita dei loro membri. Lo scopo insieme scientifico e divulgativo dell’opera è confermato anche dal testo a fronte in lingua inglese, pensato per favorire una più ampia diffusione e veicolare a quante più persone possibile la ricchezza di notizie che le iscrizioni e le sculture funerarie – appunto, la parola e il marmo – tramandano agli studiosi e ai visitatori.
Il volume, promosso dagli Amici dei Musei e dei Monumenti Livornesi e finanziato dalla locale So.Crem, si apre con una panoramica sui cimiteri “perduti”, luoghi di sepoltura dei quali abbiamo notizia attraverso la documentazione, ma di cui non è rimasta alcuna traccia all’interno del tessuto urbano. È il caso, ad esempio, dell’antico cimitero dei Turchi, localizzato a ridosso del lazzaretto di San Rocco, o del primo cimitero dei greco-ortodossi, collocato nell’area posta di fronte al Cisternone successivamente edificato da Pasquale Poccianti, oggi entrambi completamente scomparsi; così pure è avvenuto per i primi cimiteri ebraici, siti ai quali l’autrice dedica molta attenzione stante l’importanza della presenza sefardita nel porto tirrenico.
Grazie ai bandi popolazionistici emanati dai primi granduchi medicei nella seconda metà del Cinquecento, e soprattutto attraverso il noto Privilegio promulgato da Ferdinando I nel 1591 e ampliato il 10 giugno 1593, Pisa e Livorno attrassero molti ebrei in fuga dalla Spagna e dal Portogallo: la “Livornina” – questo il nome con il quale è passato alla storia il provvedimento ferdinandeo, concepito principalmente a seguito delle richieste degli stessi sefarditi – concesse non solo franchigie fiscali e agevolazioni commerciali ai nuovi venuti, ma anche una serie di garanzie personali quali l’immunità per i crimini commessi al di fuori del Granducato, la protezione dall’Inquisizione, la possibilità di esercitare la medicina, frequentare l’università, disporre di una sinagoga e di un cimitero dove celebrare i propri riti senza interferenze da parte dell’autorità ecclesiastica.

Date tali disposizioni normative e l’esistenza di una comunità numerosa, ricca e laboriosa, non stupisce che già agli inizi del Seicento la Nazione ebraica avesse acquistato un luogo di sepoltura extraurbano, nei pressi della Fortezza Nuova, individuato dall’autrice sull’attuale via Pompilia, non distante dalla Porta Pisana. Se di questo primo sito restano poche testimonianze, ben più ampia è la documentazione riguardante il secondo cimitero ebraico, aperto nel 1695 in via del Corallo dopo che i nazionali furono obbligati ad abbandonare il precedente luogo a causa della costruzione di un nuovo sistema di fortificazioni: Lucia Frattarelli Fischer traccia così le vicende di questo spazio sacro in relazione all’accrescimento della comunità e al rilievo sociale progressivamente acquisito, nonostante gli ostacoli frapposti dalla confessione maggioritaria. Sia questo luogo di inumazione, chiuso nel 1840 a seguito dell’ampliamento della cinta muraria di Livorno, sia il precedente già in disuso, sono stati cancellati non dal tempo, ma dalla volontà del regime fascista: come ricostruito con accuratezza e rigore, le pressioni dell’autorità locale costrinsero nel 1942 il rabbino Alfredo Sabato Toaff a vendere le due aree, che furono adibite alla costruzione di case popolari e all’allargamento dell’Istituto tecnico. La Comunità fu indennizzata con un rimborso monetario per allargare il cimitero di via della Cigna, aperto nel 1900 in sostituzione del precedente collocato sull’attuale via Ippolito Nievo, eretto nel 1840: un secondo capitolo è dedicato proprio a questi due luoghi, tutt’oggi esistenti, fonti straordinarie per conoscere tanti aspetti relativi alla composizione e alla quotidianità della Nazione ebraica.

Cimitero della Nazione Israelitica a Livorno oggi scomparso. Incisione, 1825

Il cimitero di via Nievo, nei sessant’anni del suo utilizzo, ha accolto le spoglie mortali e le lapidi monumentali di importanti personaggi dell’ebraismo livornese e internazionale, fra i quali tre maskilim e ventidue rabbini. Il più noto è senza dubbio Elia Benamozegh, nato nel porto da genitori marocchini e avviato sin da giovane allo studio del Talmud e della Cabbalà: autore di commenti filologici e critici ai Salmi e al Pentateuco e di opere apologetiche, divenne un intellettuale di fama mondiale e un profondo conoscitore della teologia cabbalistica, servì come guida spirituale a Livorno e qui morì il 6 febbraio del 1900.

Nello stesso anno, il cimitero fu trasferito in via Mei, nella località detta “della Cigna”, in un nuovo complesso realizzato dall’architetto Adriano Padova: grazie a un ricco corredo di fotografie e a una profonda conoscenza della storia della presenza ebraica nella città labronica, l’autrice conduce il lettore in un viaggio attraverso le tombe di questo sito, che si trasforma ancora una volta in un percorso nella vita della comunità dal Seicento ad oggi. Il cimitero conserva infatti anche la memoria della Nazione antecedente al XX secolo in quanto, contestualmente alla vendita dei sepolcreti di via Pompilia e di via del Corallo, con la supervisione di Alfredo Toaff furono qui trasferite a partire dal 1941 anche le lapidi di questi cimiteri dismessi: tale imponente operazione ha così permesso di preservare  quattrocento anni di storia dell’ebraismo livornese.
Il racconto inizia davanti a una delle tombe più recenti appartenente al figlio del rabbino Alfredo  Toaff, Elio, una delle massime figure dell’ebraismo italiano nel Dopoguerra: partigiano, sostenitore del dialogo interreligioso e per cinquant’anni Rabbino capo di Roma, le sue spoglie mortali riposano accanto ai genitori, al pari di altri quarantadue maestri di fede e dottrina operanti a Livorno dal XVII secolo ai giorni nostri. Queste lapidi, mete di pellegrinaggio nel tempo per i sefarditi provenienti dall’Europa intera, sono arricchite con epitaffi, versetti dell’Antico Testamento e immagini quali teschi, libri e mani colte nell’atto di impartire la benedizione sacerdotale. Il percorso istituito nel testo si snoda poi fra i più antichi monumenti, in marmo bianco di Carrara, che fanno riaffiorare la memoria di figure quali il rabbino Malahì Accoen, di medici e intellettuali come Moisè Cordovero e Josef Attias, di mercanti come Jacob De Soria e di illustri famiglie quali i Franco, impegnati nell’industria della seta e del corallo. Il volume si sofferma lungamente anche sulla descrizione delle arche, adornate di elementi architettonici, stemmi araldici ed elaborate scritte commemorative che rappresentano a tutti gli effetti vere e proprie fonti per lo storico.

Tomba di Frida Misul

L’itinerario prosegue fra le sepolture del XIX e XX secolo, ove si assiste a un cambiamento nello stile di realizzazione dei marmi e a un’evoluzione nel gusto compositivo: una colonna spezzata d’ispirazione neoclassica sovrasta il monumento di Cino Foà, caduto nella Prima guerra mondiale, mentre semplici pietre scalpellate ricordano Janet e Pellegrino Rosselli, patrioti mazziniani che ospitarono a Pisa il fondatore della Giovine Italia. Meta di tanti visitatori è la tomba di Frida Misul, appartenente a una famiglia di antifascisti e sopravvissuta al Campo di concentramento di Auschwitz, fra le prime donne in Italia a raccontare in un memoriale l’orrore dello sterminio nazista; colpisce invece per l’inconsueto stile futurista il monumento del pittore Daniel Schinasi, recentemente scomparso, che si contrappone all’impianto severo della lapide del postmacchiaiolo Ulvi Liegi. Completano questa accurata visita “virtuale” le cappelle di famiglia, fra le quali spicca la cappella Modigliani, stirpe che ha dato i natali al celeberrimo artista: la ricostruzione dimostra così sia l’apporto che la comunità ebraica ha dato alle vicende del nostro Paese, sia la varietà e l’abbondanza di storie celate dietro nomi e immagini sui marmi, che custodiscono dunque veramente un patrimonio da preservare e valorizzare.

È questo infatti l’intento finale dell’opera di Lucia Frattarelli Fischer: porre l’attenzione sul patrimonio che i cimiteri di Livorno racchiudono, allo scopo di indurre a una migliore conservazione e rivalutazione del potenziale storico, artistico e anche di attrazione turistica insito in questi luoghi. Accanto ai sepolcreti ebraici, il volume si concentra poi sui cimiteri degli inglesi, ancora visibili in via Verdi e in via Francesco Pera, sui cimiteri della Nazione olandese-alemanna e della comunità greco-ortodossa, visitabili in via Mastacchi, e sul Tempio cinerario, la cui edificazione poggiò sugli ideali di una Livorno multiconfessionale, razionalista e massonica.

La parola e il marmo, completato da un’approfondita bibliografia, rende così ancora una volta testimonianza del passato dinamico e cosmopolita che ha caratterizzato la città portuale in età moderna: la pratica di riti e sepolture diverse nello stesso spazio urbano è lo specchio della varietà di culture e identità che hanno attraversato la piazza labronica, e i cimiteri, anziché costituire meri luoghi di silenzio e vuoto, rappresentano invece luoghi che narrano questa storia, quanto mai importante per il nostro presente, a chi vuole e sa interrogarli.

Tombe di Janet Nathan Rosselli e Pellegrino Rosselli

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