Ulvi Liegi, Bambinaie all’Ardenza,1924, olio su tavoletta (Collezione privata)
La pittura macchiaiola è una corrente artistica legata a una serie di pittori italiani attivi in Toscana nella seconda metà dell’800 che ruppero le convenzioni antiquate insegnate nelle accademie d’arte italiane, e nello specifico l’Accademia delle Belle Arti di Firenze. L’assunto di base era che le aree di luce e ombra (“macchie”) fossero le componenti principali di un’opera d’arte e il loro obiettivo costante era quello di sperimentare.
Il Movimento annoverava rivoluzionari che avevano preso parte ai moti del 1848. Tra questi, due capostipiti del Movimento erano ebrei: Serafino de Tivoli e Vito d’Ancona. Ebbero un ruolo particolarissimo entrambi. De Tivoli fu definito da Signorini il “babbo della Macchia”, essendo il primo a essersi sperimentato nel nuovo stile pittorico che prevedeva la pittura en plen air e il ton gris (Fig. 1); a Vito d’Ancona si deve proprio l’introduzione dell’amico Signorini al Caffè Michelangiolo a Firenze, loro luogo di ritrovo, che vedeva arte e politica come principali argomenti di confronto. Signorini documentò anche molti scorci e scene di vita del Ghetto di Firenze. Si narra che un passante, vedendolo in lacrime per la distruzione a colpi di piccone del Ghetto, disse: «Sor Telemaco, piange per le porcherie che vengon giù?». «No – la sua risposta – piango per quelle che vengono su».
Il termine “macchiaiolo” in realtà nacque come dispregiativo. Una loro mostra del 1862 ebbe una recensione ostile e da qui l’epiteto sulla “macchia”. La dimensione provinciale della critica dell’epoca favorì lo scarso successo commerciale del Movimento e la sua pressoché minima diffusione all’estero. Solo Vittorio Matteo Corcos, più tardi, uscirà da questo limite, affidandosi al mercante d’arte francese Goupil (Fig. 2). In effetti molti di loro morirono in povertà, nonostante la bellezza pittorica di molti quadri non avesse niente da invidiare agli Impressionisti. È certo che con le loro opere hanno contribuito alla riunificazione e alla rinascita dell’Italia, raffigurando gli aspetti più autentici e vivi del Paese. I paesaggi rurali si alternavano a ritratti sia di borghesi che di gente comune. Pochi i soggetti storici. È stato detto che la partecipazione ebraica a un Movimento che si esprimeva per immagini fosse un atto di rottura e fosse in contraddizione con il divieto biblico di produrre immagini, espresso in Esodo e Deuteronomio. Dobbiamo dire che l’ebraismo però fin dalle sue origini ha sempre posto attenzione a estetica e bellezza, sia nella pratica religiosa che nella descrizione di alcuni personaggi biblici, come Sara, descritti con una bellezza fuori dal comune. È facilmente comprensibile come per il mondo ebraico non sia affatto difficile passare da un concetto di bellezza cultuale ad uno culturale ed artistico. Il rabbino Abraham Isaac Kook (1865-1935) afferma che il sentimento estetico, qualora non venga espresso come fine a se stesso, non può che essere considerato positivo, «disponendo l’uomo a ricevere le luci più elevate».
Macchiaioli e Impressionisti vengono spesso accomunati, ed in effetti la loro pittura prende l’avvio dal dipingere all’aperto, salvo che i Macchiaioli erano poi soliti, a differenza dei colleghi francesi, rifinire in studio le loro tavolette. Il contesto storico-politico gioca poi in Italia un ruolo importante: molti combatterono per Garibaldi; e in questa particolarissima situazione storica si collocano alcune istanze tra cui l’emancipazione ebraica, compresa la sua dimensione artistica, le migliori condizioni umane in carcere e negli ospedali, la condizione della donna (portata allo scoperto in quegli anni dalle difficoltà economiche delle vedove dei patrioti). La storia del Movimento pittorico dei Macchiaioli include l’intensa partecipazione ebraica all’attività artistica della seconda metà dell’800 e i primi del ’900, prima a Firenze con epicentro culturale al Caffè Michelangiolo, successivamente come Postmacchiaioli a Livorno al caffè Bardi. La contestualizzazione storica per gli ebrei è quella dell’emancipazione, dei pari diritti e della partecipazione attiva alle lotte risorgimentali: la collocazione temporale dei Macchiaioli (1850-1880) e dei Postmacchiaioli poi (1880-1920) serve per comprendere il momento e l’humus in cui gli artisti ebrei aderiscono al Movimento: l’Unità d’Italia del 1861, con la breccia di Porta Pia praticata peraltro da un bravissimo artigliere ebreo di nome Giacomo Segre, Firenze Capitale (1865-1871), la demolizione del Ghetto (1892-1895), l’inaugurazione dell’attuale Sinagoga (1882). Lo storico d’arte Paolo D’Ancona, nipote del pittore Vito d’Ancona, scrisse un breve saggio sugli ebrei nella pittura moderna italiana, esaminando le opere di Serafino de Tivoli, di suo zio Vito d’Ancona, di Ulvi Liegi, il cui nome è anagramma di Luigi Levi, e di Modigliani. Se si eccettua l’opera di Ulvi Liegi del 1935 raffigurante la Sinagoga di Livorno (Fig. 3) e qualche stella di Davide nei disegni di Modì accanto alla sua firma, D’Ancona era costretto a concludere che non esisteva un’arte realmente ebraica, ma quattro pittori che facevano onore all’ebraismo italiano, per cui sosteneva che si può parlare di artisti ebrei ma non di un’arte propriamente ebraica. Doveroso da parte mia citare un sintetico elenco degli artisti ebrei – escludendo Modigliani, il più grande di tutti che però operò in Francia – che hanno nobilitato questo periodo artistico, che dalla seconda metà dell’Ottocento va fino alla metà del Novecento. Sono molti e ognuno di loro meriterebbe una trattazione individuale per capire l’importanza del fenomeno pittorico che nacque e si sviluppò in Toscana specialmente a Firenze e poi a Livorno.
Adolfo Belimbau (Il Cairo, 1845–Firenze, 1938) L’agiata famiglia Belimbau è di origine livornese. In Egitto il padre ha intrapreso un commercio di tappeti orientali. Senza trascurare gli affari di famiglia, Belimbau coltiva la passione artistica: sarà l’amico Eugenio Cecconi a introdurlo nell’ambiente macchiaiolo. Prima della morte fondò la Fondazione livornese di studi ebraici Adolfo Belimbau.
Elisabeth Chaplin (Fontainebleau, 1890-Firenze, 1982) Francese di nascita, la Chaplin proveniva da una famiglia di pittori e scultori. La madre era poetessa e scultrice, lo zio, pittore e incisore, insegnò ad artisti come Mary Cassatt. Tra i musei che espongono opere dell’artista figurano la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, e la Galleria d’arte moderna di Firenze.
Vittorio Matteo Corcos (Livorno, 1859-Firenze, 1933) È conosciuto in particolare per i suoi realistici ritratti. Figlio di Isach Corcos e Giuditta Baquis, frequentò l’Accademia di Belle Arti di Firenze ed ebbe per maestro Enrico Pollastrini. Dopo un soggiorno parigino, si stabilì a Firenze; nel 1887 sposò Emma Ciabatti, vedova Rotigliano, inserita in prestigiosi circoli letterari che lo mettono in contatto con Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio.
Vitale D’Ancona, detto Vito (Pesaro, 1825–Firenze, 1884) Nasce in un’agiata famiglia, da Ester Della Ripa e Giuseppe, commerciante di zucchero e granaglie. Sono a Pisa e nel 1848, dopo la morte di Giuseppe, a Firenze presso lo zio Laudadio Della Ripa, banchiere e amico di Gioachino Rossini e Bettino Ricasoli. Nel 1848 partecipa come volontario alla Prima guerra d’Indipendenza, combattendo a Curtatone e Montanara; nel 1867 si trasferisce a Parigi dove la pittura di Courbet lo influenzerà verso il “nudo”. Rientra a Firenze nel 1875. Muore il 9 gennaio 1884 nella villa di famiglia in piazza d’Azeglio.
Serafino De Tivoli (Livorno, 1825-Firenze, 1892) Nato da Abramo Samuel e Fortunata Moro, nel 1836 si trasferisce con la famiglia a Firenze e dal 1838 è allievo di Markó il Vecchio. Nel 1848 si arruola volontario con Giuseppe Garibaldi e partecipa alla Prima guerra d’Indipendenza italiana, combattendo nella Battaglia di Curtatone e Montanara unitamente ad altri artisti pervasi da patriottismo quali Silvestro Lega e Angiolo Tricca e contribuendo nel 1849 alla difesa di Roma. Nel 1853 fonda la Scuola di Staggia con Ademollo e Gelati. Un viaggio in Francia lo porterà in contatto con Degas, Zandomeneghi, De Nittis e Boldini. Le precarie condizioni economiche lo inducono al ritorno a Firenze, dove viene nominato professore della Reale Accademia di Belle Arti. Successivamente si ricovererà nell’Ospizio Israelitico dove muore nel novembre 1892.
Moses Levy (Tunisi, 1885–Viareggio,1968) Il padre Leonello è un uomo d’affari inglese, la madre Esther è livornese. Nel 1900 si iscrive all’Istituto di Belle Arti di Lucca e conosce Lorenzo Viani. Levy e Viani frequentano assieme a Firenze anche i corsi della Scuola di Nudo dell’Accademia di Belle Arti tenuti da Giovanni Fattori. A causa delle leggi razziali fasciste, Levy deve lasciare l’Italia e si trasferisce a Nizza, ritornando successivamente a Tunisi. Finita la guerra torna in Italia prima a Firenze e poi a Viareggio.
Ulvi Liegi (Livorno, 1858-1939) Il suo vero nome era Moisé Luigi Levi (Ulvi Liegi è l’anagramma del secondo nome e cognome); nacque da una ricca famiglia labronica. Nel 1880 si trasferì a Firenze per compiere gli studi e conobbe Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, i fratelli Tommasi; inoltre segui gli insegnamenti di Silvestro Lega. Nel 1886 si reca a Parigi e incontra Federico Zandomeneghi. Successivamente rientrò in Italia e si stabilì a Firenze, dedicando la propria opera alla raffigurazione dei paesaggi. Nel 1906 i dissidi familiari resero inevitabile la separazione dalla moglie e il suo ritorno a Livorno; la sua produzione pittorica ne risentì fino al 1913. Poi riprese con continuità esasperando l’uso del colore. Nel 1921 diventò presidente del gruppo labronico e ottenne dal Comune di Livorno una Medaglia d’oro al valore artistico. Morirà in povertà, senza il conforto degli affetti familiari.
Italo Nunes Vais (Tunisi, 1860-Firenze, 1932) Nasce da genitori emigrati di origine livornese. Si trasferisce in Italia per studiare a Firenze presso l’Accademia di Belle Arti, dove avrà come maestri Stefano Ussi e Nicolò Barabino. Dopo aver iniziato come pittore di soggetti storici, passò alla pittura di paesaggi e quindi a soggetti di scene quotidiane e temi orientalistici.
Carlo Passigli (Firenze 1881-1953) Allievo di Calosci all’Accademia di Belle Arti di Firenze, studiò poi a Venezia con Ciardi e Tito. Nel 1900 rientrò a Firenze e cominciò a dedicarsi al paesaggio e alla pittura di genere, coniugando la tradizione postmacchiaiola con gli interessi per il Divisionismo di Nomellini.
Alberto Pisa (Ferrara, 1864-Firenze, 1930) Figlio di Abramo Pisa e Malvina Anau. Il padre è attivo nel commercio dei metalsiderurgici. Alberto se ne distacca per seguire la sua inclinazione artistica. Si forma inizialmente a Ferrara; prosegue gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove ebbe modo di accostarsi al gruppo dei Macchiaioli. Successivamente, grazie a un viaggio a Parigi nel 1886, ebbe modo di conoscere le novità pittoriche dell’Impressionismo. Decise in seguito di trasferirsi a Londra, dove visse per circa trent’anni.
Bibliografia di riferimento
A.Baboni, La pittura toscana dopo la macchia. 1865-1920: l’evoluzione della pittura del vero, Novara 1994
R.Bedarida,Qui Livorno. Quell’esplosione d’arte che mandò in crisi la tradizione, https://moked.it/blog/2010/08/17/qui-livorno-quell%E2%80%99esplosione-d%E2%80%99arte-che-mando-in-crisi-la-tradizione/
M.Borgiotti,I Macchiaioli, Firenze 1946
G.Calò,Ebraismo e bellezza nell’arte contemporanea, https://www.ucei.it/giornatadellacultura2023/bellezza-una-bel-rischio-da-correre/
P.D’Ancona, “Quattro maestri ebrei della pittura moderna italiana”, in Scritti in memoria di Sally Mayer (1875-1953). Saggi sull’ebraismo italiano, a cura di Umberto Nahon, Gerusalemme 1956