Bernhard Bardach con le figlie Bettina e Ega, nonna dell’Autrice. Lwow (Leopoli) 1906.
Tra novembre e dicembre Sandro e io siamo andati a trovare nostra figlia Ruthi e i nipoti a New York, alloggiando presso di lei in Bennett Avenue, nel quartiere Washington Heights, nella parte nord di Manhattan.
Qualche anno fa mio nipote Benjamin doveva fare per la scuola una ricerca sui suoi antenati giunti negli Stati Uniti, così mi misi a rileggere il diario del nonno Giorgio e le lettere che il bisnonno Bernhard si scambiò con mia nonna, facendo una scoperta che mi commosse, e cioè che Bernhard abitò in Bennett Avenue al numero 144, poche case più avanti.
Il mio bisnonno materno, Bernhard (Berish ben Israel) Bardach, nato a Leopoli nella Galizia austriaca, il 3 agosto 1866, laureato medico a Graz, già ufficiale medico nell’Esercito austriaco nella Prima guerra mondiale, si trasferì dopo la guerra con la famiglia a Vienna, nella centrale Mariahilferstraße.
Aveva quattro figlie, due, Bettina e Ega, la mia nonna, nate dal primo matrimonio. Rimasto vedovo si era risposato con Olga e aveva avuto altre due figlie, Miki e Mary.
Bettina si era sposata con un medico e viveva a Berlino, Ega si sposò con il mio nonno Giorgio Siebzehner nel 1926, e viveva a Firenze.
Poco tempo dopo l’Anschluss, cioè l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, avvenuta nel 1938, Bernhard decise di far espatriare negli Stati Uniti le due figlie ancora in casa, Miki che aveva 24 anni, e Mary, 20, con l’assistenza di enti ebraici, nella prospettiva che in seguito le figlie potessero mandare ai genitori il documento dell’affidavit, per il ricongiungimento familiare.
Così le due ragazze arrivarono a New York, e furono ospitate in due famiglie diverse: dovevano ricambiare l’ospitalità facendo le baby sitter e piccoli lavori domestici, ma fu loro anche consentito di proseguire gli studi in un college di design. Così Miki divenne art director, specializzata in editoria di riviste di moda, e in seguito ebbe un incarico presso la prestigiosa rivista Vogue. Mary divenne disegnatrice di gioielli, ma dopo poco tempo morì di una improvvisa malattia.
Bernhard aveva perso il lavoro e dopo poco lui e la moglie si trasferirono in Italia, e mio nonno decise di mettere a loro disposizione la casa di Viareggio, sopra al negozio Duilio 48, una casa modesta ma sufficiente per la coppia, che vi trascorse un anno relativamente tranquillo, dal 1939 al 1940.
Nel 1940 il governo fascista ordinò l’arresto di tutti i sudditi di Paesi nemici, e ovviamente fra i primi c’erano gli ebrei, purché non avessero compiuto i 60 anni. Così Olga, che ne aveva 59 (Bernhard già 72) venne arrestata e rinchiusa nella Torre Matilde, che esiste ancora oggi, una costruzione medievale, fredda, cupa e senza finestre. Si può immaginare lo sconforto di Bernhard, che, come scrive il nonno nel suo diario, smise di mangiare e cadde in depressione; Giorgio si adoperò subito per dare sollievo al suocero, e cercare di fare uscire al più presto Olga dalla prigione. Furono necessarie varie iniziative, presso la Questura, presso organi giudiziari; fu richiesta a un medico di fiducia una perizia medica che affermava che Olga soffriva di disturbi nervosi, e così prima fu trasferita in un ospedale a Lucca, e finalmente dopo un mese fu rilasciata, ma i bisnonni non potevano più risiedere a Viareggio, che era zona militare, e così con l’aiuto di conoscenti trovarono un alloggio a Bagni di Lucca.
Purtroppo ancora l’affidavit tanto sperato non arrivava.
Solo nel novembre del 1940 la situazione si sbloccò, arrivò il permesso di espatrio, ma non c’erano più navi che viaggiassero dall’Italia a Lisbona, porto dal quale partivano i piroscafi diretti negli Stati Uniti. Così fu necessario acquistare due biglietti aerei, da Roma a Barcellona.
Mia nonna, con la mamma si recarono a Roma dal primo al 7 novembre per salutare Bernhard e Olga, che non avrebbero mai più rivisto; i saluti all’aeroporto furono molto commoventi.
Una volta arrivati in America, Bernhard si rese conto che non avrebbe potuto lavorare, la sua laurea in Medicina non era riconosciuta, era necessario sostenere un esame di abilitazione, ma lo scoglio più grosso era la lingua, che lui non conosceva se non limitatamente alla lettura di alcuni articoli scientifici.
Così si mise a studiare con un insegnante privato e per incrementare l’apprendimento, spesso la sera andava al cinema a vedere film in inglese.
Finalmente riuscì a superare l’esame, non dopo averlo dovuto ripetere, e ebbe la tanto agognata e necessaria abilitazione alla pratica medica.
Bernhard era da sempre uno strenuo sostenitore dell’importanza della profilassi e delle vaccinazioni; durante la guerra, al fronte, dovunque si era trovato aveva promosso le vaccinazioni contro il colera, il tifo e le malattie veneree, sia nell’esercito che nelle popolazioni dei villaggi in cui si era venuto a trovare. Così una volta abilitato alla professione a New York aprì un ambulatorio in cui curava le malattie veneree; mia nonna diceva che le sue pazienti erano soprattutto prostitute.
Il quartiere di Washington Heights era allora un quartiere prettamente ebraico; ci sono tre sinagoghe sulla Bennett Avenue e altre nella zona, non lontano c’è la Yeshiva University. Bennett Avenue è ancora molto “ebraica”, ma oggi basta arrivare sulla Broadway e oltre verso est e cambia tutto, l’atmosfera, le lingue, i cibi, le insegne sui negozi: nel 2018 il quartiere è stato rinominato “Little Dominican Republic”, a causa della presenza della più numerosa comunità dominicana al di fuori del Paese di origine.