Israele. Tra abisso e speranza. Viaggio nell’anima di un paese

recensioni di Emanuele Viterbo e di Hulda Brawer Liberanome

Organizzato dall’Associazione Italia-Israele di Firenze, con il patrocinio del Comitato fiorentino per il Risorgimento, della Comunità ebraica di Firenze e della Fratellanza Artigiana d’Italia, fondata nel 1861 da Giuseppe Mazzini e presieduta da Armando Niccolai, si è tenuta, a fine novembre, la prima presentazione a Firenze del libro Israele. Tra abisso e speranza. Viaggio nell’anima di un paese di Adam Smulevich, edito da Minerva.

L’evento è stato aperto dal saluto dell’assessora Caterina Biti del Comune di Firenze. A seguire, l’autore ha risposto alle domande di Emanuele Cocollini, presidente dell’Associazione Italia-Israele Firenze

Il libro, attraverso i racconti intensi e quasi fotografici del viaggio di una settimana compiuto da Adam in Israele nel mese di agosto, offre un vivido quadro della realtà attuale del Paese. Con reportage dai luoghi visitati, Smulevich racconta storie drammatiche intrecciate ad aneddoti capaci di strappare un sorriso. Ne emerge una riflessione sui problemi irrisolti di Israele, su cosa significhi vivere in uno Stato segnato da incomprensioni, sfide esistenziali e precarietà. Una realtà complessa, in cui il 20% della popolazione è araba e, contrariamente a quanto spesso la stampa non evidenzi, arabi (musulmani e cristiani) e drusi occupano anche importanti ruoli istituzionali (come per esempio Mona Maroun – rettrice dell’Università di Haifa) e ruoli nelle forze armate.

Varie sono le tappe del viaggio descritte nel libro per ognuna delle quali Adam dedica un capitolo tra cui: il kibbutz Re’im, luogo del Festival Nova, teatro delle recenti tragedie del 7 ottobre, e Sderot, che cerca lentamente di tornare alla vita, dove gli abitanti hanno solo 15 secondi per raggiungere i rifugi in caso di allarme. Be’er Sheva, con la sua significativa presenza di beduini, comunità che rappresenta un’espressione dell’Islam tradizionale. Gerusalemme, visitata durante il Tish‘à be’av e la controversa passeggiata sulla Spianata delle Moschee del ministro Ben-Gvir, che ha violato lo status quo territoriale, alimentando tensioni in un contesto già delicato. L’aeroporto Ben Gurion, dove si incrociano storie diverse: dall’arrivo della delegazione olimpica al commovente sbarco di nuovi immigrati in procinto di fare la ‘aliyà. I villaggi drusi del Nord di Israele, colpiti dai missili di Hezbollah, che hanno provocato la morte di 12 ragazzi. Haifa, Acco e Herzliya dove incontra Ariella, che ha trasformato la stanza del figlio, recentemente morto in guerra, in punto di appoggio per chi ha bisogno, un modo per onorare la memoria del figlio e continuare a vivere attraverso l’impegno culturale.

Il libro cattura il lettore fin dalle prime pagine. Personalmente, l’ho letto tutto d’un fiato, con un’unica pausa dettata dall’emozione: il racconto del ritorno del team sportivo israeliano dalle Olimpiadi di Parigi. Gli atleti, con il massimo impegno, hanno gareggiato portando nel cuore il ricordo delle vittime del 7 ottobre, lanciando un forte messaggio di speranza e di volontà di andare avanti, nonostante tutto.

E.V.

Ho letto con interesse e curiosità le impressioni di Adam Smulevich su una settimana di viaggio veloce in Israele, “tra abisso e speranza”. Adam visita un Paese che già conosce, lo vede con gli occhi di chi ne sa la storia, dove ha amici, entra nelle loro case e parla anche con chi il 7 ottobre 2023 ha vissuto di persona la tragedia dell’attacco di Hamas, che ha distrutto il kibbutz Be’eri e ucciso molti dei suoi membri: bambini, anche appena nati, ragazzi, donne e uomini, con incredibile crudeltà. È un’esperienza tragicamente indimenticabile per tutti in Israele e, in un certo senso, anche per gran parte del mondo ebraico. Resta la domanda su come un evento del genere sia potuto succedere in un Paese così sensibile al problema della propria sicurezza. Chi sarebbe responsabile, direttamente o indirettamente, per aver sottovalutato le dimensioni della tragedia che, secondo le informazioni fornite dall’esercito ai responsabili politici e quanto dichiarato pubblicamente dall’esercito, sarebbe potuta accadere? Adam visita un Paese ferito e profondamente diviso tra chi appoggia il governo e chi ne è contrario. Non si tratta di opinioni più o meno diffuse o di dichiarazioni di partiti politici, come accade in ogni Paese democratico, ma di importanti manifestazioni pubbliche che si svolgono in tutto il Paese, settimana dopo settimana, già da molti mesi, traducendosi tuttavia in pochi risultati effettivi, in attesa delle elezioni politiche fra più di un anno e mezzo.

La profonda divisione comprende da sempre laici e charedim, che parlano linguaggi diversi, ma più recentemente si estende anche a chi segue una sorta di “sogni messianici”, che si traducono nei linguaggi politici di una certa destra, con a capo il ministro influente Itamar Ben-Gvir, che con il suo piccolo seguito condiziona l’esistenza dell’attuale coalizione governativa. Le impressioni del viaggio di Adam parlano non solo di turismo, ma si riferiscono anche alla realtà presente e, ogni tanto, non dimentica di riportare apprezzabili citazioni bibliche. Parla non tanto di divisioni fra ashkenazim, provenienti soprattutto dall’Europa centro-orientale, e altri che arrivano dal Nord Africa e dal Medio Oriente, ma soprattutto del “melting pot”, cioè della capacità israeliana di unire, in particolare le nuove generazioni, anche se, come è naturale, si tratta di un processo in evoluzione. Ecco, è indicativo il titolo del libro di Adam, Tra abisso e speranza, e anche una spiegazione del perché le manifestazioni che da tempo, ancor prima del 7 ottobre, si svolgono in molte città contro il governo di coalizione dei partiti di destra, capeggiato da Benyamin Netanyahu, attualmente anche incriminato nei tribunali di Israele. Le impressioni del viaggio di Adam sono molto diverse dalle mie, essendo cresciuta in un Israele sotto il Mandato britannico, che lottava per affermare i diritti della minoranza ebraica – all’epoca di soli 600.000 – contro i governatori inglesi, sì, ma soprattutto, dopo aver sperato di ottenere maggior comprensione da parte palestinese per le aspirazioni del sionismo moderno, non aveva scelta se non quella di combattere contro di loro per ottenere uno Stato. Io ricordo bene la Gerusalemme della mia giovinezza, con il rifornimento d’acqua solo due volte a settimana. Tanto è che, ancora oggi, a Firenze non riesco a lasciare aperto il rubinetto, che va sempre chiuso appena usato. Aprire e chiudere, come a suo tempo sotto il Mandato britannico e nei primi anni dello Stato. L’acqua non va sprecata perché è preziosa. Ma qui a Firenze, e in buona parte del mondo occidentale, chi ci pensa? Le nostre impressioni, quelle di Adam e le mie, sono in parte diverse, ma penso che si completino. È il motivo per cui ho letto il libro di Adam con interesse e molta curiosità.

H. B. L.

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