Il diario di Alessandro

Alessandro Smulevich, in alto a destra, nel 1945.

«Bisogna davvero prendere nota per il futuro della bontà e della sincerità con la quale sono trattato da questa gente modesta ma onestissima». 
È il 25 dicembre del 1943 quando Alessandro Smulevich, mio nonno, scrive queste righe. Un appunto in presa diretta, dal suo diario in clandestinità, mentre all’età di vent’anni si nascondeva dalle persecuzioni nazifasciste a Firenzuola. Parole stese forse tra lacrime di commozione per testimoniare la gratitudine nei confronti delle due famiglie del posto che avevano aperto la porta di casa e il loro cuore alla solidarietà. Matti e Angeli: nei loro cognomi un destino, una promessa di eroica incoscienza e gesti di altruismo mentre non lontano da quella casa squadre naziste e fasciste pattugliavano con assiduità la zona. 
Ritrovato da mia zia Giulietta vari anni dopo la morte, avvenuta nell’agosto del 2002, il diario del nonno è diventato di recente un libro a cura di mio padre Ermanno e degli studiosi locali Luciano Ardiccioni e Rosanna Marcato, con il titolo proprio di Matti e Angeli (Pendragon). Il messaggio è chiaro: senza quella mano tesa non ci sarebbe forse stato un futuro per Alessandro, né continuità tra le generazioni. Già lo aveva attestato alcuni mesi prima della pubblicazione lo Yad Vashem, il Memoriale della Shoà di Gerusalemme, conferendo in memoria il titolo di “Giusto tra le Nazioni” ai coniugi Armando e Clementina Matti, Pietro e Dina Angeli. I salvatori della mia famiglia. 
Con Alessandro si trovavano a Firenzuola la sorella Ester, i genitori Sigismondo e Dora, il cugino Leo. Dopo varie peripezie imposte dal regime fascista erano arrivati da Fiume in Toscana, approdo temporaneo che sarebbe diventato definitivo alla fine della guerra. Ma intanto bisognava salvare la pelle. E ciò fu possibile grazie soprattutto ai quattro “Giusti” sopra citati, ma anche ai loro figli, alla cerchia familiare più stretta e ad alcune persone vicine che sapevano di quell’azione di solidarietà diffusa in case di pietra, boschi e persino grotte e rimasero in silenzio, formando una barriera protettiva impermeabile. 

Nel diario si intrecciano varie prospettive e “racconti”. Quello asciutto degli eventi in ordine cronologico, l’elaborazione degli stati d’animo vissuti tra sconforto e speranza e, non meno significativo, il tentativo di interpretare il corso preso dalla guerra dalle poche notizie che il nonno riusciva a captare, nel suo nascondiglio, dalla radio e dai giornali. 
Toccanti alcuni aneddoti. Il nonno narra ad esempio dei libri della Bibbia che gli furono forniti dal suo coetaneo Renato Matti, che stava studiando per diventare parroco. Glieli procurò, prendendosi molti rischi, dalla biblioteca del seminario. Rileggere le antiche vicende del popolo d’Israele divenne per Alessandro una delle attività predominanti in quelle giornate di smarrimento e paura. Fu anche l’inizio di un’amicizia che negli anni futuri si sarebbe rinnovata in vari contesti e persino alla tavola del Seder di Pesach, dove ospite d’onore di Sigismondo e di tutta la famiglia Smulevich era proprio don Renato. «Mia sorella ed io, allora bambini, eravamo confusi. Siamo ebrei, cosa ci fa un prete a casa nostra per Pesach?», ha raccontato mio padre durante la cerimonia dello Yad Vashem, nel 2021; «Diventando adulti questo ricordo ha forgiato le nostre coscienze. Eravamo ben prima della dichiarazione Nostra Aetate e della nascita dell’Associazione di amicizia ebraico-cristiana, eppure questi due uomini straordinari avevano già capito l’essenza della religione: la fratellanza, l’umanità, il rispetto, l’amicizia». 
Il diario è anche un documento storico notevole. Si inizia con un affresco sull’illusione collettiva diffusasi anche a Firenze dopo l’arresto di Mussolini. «Oggi è una delle più belle giornate della mia vita», riporta Alessandro il 26 luglio del 1943, dopo aver appreso «la sensazionale notizia» della caduta del dittatore. Alessandro cammina per le strade del capoluogo e documenta: 

Dalle finestre volavano fuori quadri dell’ex Duce, che appena giunti tra la moltitudine che sostava giù, venivano strappati, calpestati e dati alle fiamme. Alle cantonate delle strade altri gruppi di studenti squadravano tutti i passanti per vedere se avevano ancora il distintivo del Partito Fascista. 

Come ha scritto Anna Foa nella prefazione, è uno dei momenti in cui nel diario appare, come in una fotografia, “la grande storia”. Come noto, l’illusione di quel 26 luglio presto svanì. Ma per fortuna, nell’ora più buia, gli Smulevich trovarono sulla loro strada dei “Giusti”. Un po’ Angeli e un po’ Matti. 

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