Una data ribaltata per una grande manifestazione a Tel Aviv

Il primo di luglio si è svolta a Tel Aviv, nel più grande spazio disponibile, la Yad Eliyahu Arena, nota anche come Menora Mivtachim Arena, una manifestazione per la pace promossa da cinquanta organizzazioni e associazioni israeliane e israelo-palestinesi, prima fra tutte quella delle donne: Nashim ‘osot shalom / Women Wage Peace.

Il titolo dato alla serata – Higghia‘ ha-zman, “È giunta l’ora!” – giocava sul parallelismo quasi chiastico della data rispetto al funesto 7 ottobre – 07-10 / 01-07 – quando l’attacco di Hamas ha dato l’avvio all’ultima guerra. L’auspicio della manifestazione era appunto che questa sia davvero L’ULTIMA guerra e che prevalgano in entrambi i campi le ragioni della pace e del reciproco riconoscimento, nel rispetto dei diritti, più volte richiamati, all’autodeterminazione, alla sicurezza, alla dignità, all’uguaglianza e alla libertà. 

La manifestazione si è aperta con un toccante video che mostra, dopo le immagini di un precedente inimmaginabile incontro a distanza fra un gruppo di musicisti di Sderot e uno di Gaza, la stanza devastata di uno dei kibbutzim attaccati in cui la stessa ragazza di prima suona il violoncello, accompagnata da un flauto. Piano piano intorno a lei cominciano a muoversi danzando ragazzi e ragazze, battendo i piedi e protendendo le mani al cielo e intrecciandole. La scena si apre poi su una danza sulla spiaggia – incredibilmente mista – e su un girotondo con mani che si stringono. Il video, intitolato “Chance to meet” e montato con i video dell’una e dell’altra parte «in a crazy way», è opera di Tal-Shalom Leora Sacks, Ohad Nave e molti altri.

Si sono poi alternati sul palco testimoni e superstiti dei massacri, membri della società civile – sia israeliana che palestinese (fra cui una palestinese nata a Peki’in, che ha studiato in Germania e ora abita a Ramallah, e una ragazza “mista” con genitori di Lod e di Gaza), studenti, scrittori, giornalisti, attivisti nei movimenti per la pace, giovani e giovanissimi, fra i quali anche un giovane immigrato di recente e già reduce di missioni militari nei Territori. Tutti che rivendicavano appassionatamente il diritto di SOGNARE LA PACE, di IMMAGINARE LA PACE su una terra da condividere.

Fra un gruppo e l’altro abbiamo ascoltato il canto – in ebraico, arabo e inglese – di Noa e Noor Darwish, con il folto gruppo di musicisti che le accompagnavano, e poi quello di Yael Deckelbaum con Lian Khawila, che hanno fatto cantare a tutto il pubblico la Prayer of the Mothers (che riporto nella traduzione italiana reperibile online):

Un sussurro di vento oceanico
Soffia da molto lontano
E il bucato sta sventolando
All’ombra del muro

Tra il cielo e la terra
Ci sono persone che vogliono vivere in pace
Non arrenderti, continua a sognare
Di pace e prosperità

Quando i muri della paura si scioglieranno
Quando tornerò dall’esilio
E i miei cancelli si apriranno
A ciò che è veramente buono

Vieni a dormire! / Un’altra alba
Vieni a dormire / E la mattina è qui
Noi immoleremo / Una madre manda
Una colomba per te / Insieme a una preghiera
Vola colomba, non credere / Suo figlio a scuola
Rideremo con il bambino / Al suono
In modo che possa dormire / Di guerra

I muri della paura un giorno si scioglieranno
E tornerò dall’esilio
Le mie porte si apriranno
A ciò che è veramente buono

Da Nord a Sud
Da Ovest a Est
Ascoltate la preghiera delle madri
Portate loro la pace
Portate loro la pace


Una luce sta sorgendo da Oriente
verso la preghiera delle madri per la pace.

Un altro intermezzo musicale è stato un brano rap cantato da due giovani – Dugri (Uriya & Saz) uno israeliano e l’altro palestinese – che cantavano in un misto di ebraico e arabo il brano Munfas (Let’s Talk Straight #2), esprimendo la sofferenza delle giovani generazioni che «pagano il prezzo del razzismo, della corruzione e della testardaggine», in una realtà soffocante dove si è bloccati e non si respira, come ripete angosciosamente il ritornello: «Non posso respirare, non posso respirare».

Un musulmano di colore ha recitato una preghiera scegliendo brani da due Sure del Corano (n. 9, At-Tawbah, v. 71; n. 9, An-Nisa, v. 86)  e subito dopo una donna ebrea e una musulmana hanno recitato una “Benedizione delle madri” in ebraico e in arabo, «a favore delle rapite e dei rapiti – che tornino con l’aiuto di Dio a casa – di tutti coloro che soffrono, dei bambini e delle bambine di Israel e di Gaza»:

O Re che desideri la vita

Tu che risani quelli che hanno il cuore spezzato e lenisci i loro dolori (Salmo 147,3)

Ascolta la preghiera delle madri

Perché Tu non ci hai creato per ucciderci l’un l’altro

Né perché vivessimo nella paura

La rabbia e l’odio nel Tuo mondo.

Ma [ci hai creato] perché consentissimo l’uno all’altro

Di far sussistere il Tuo nome in questo mondo

Nome di vita, Nome di pace nel mondo.

Per questi io piango: il mio occhio, il mio occhio versa acqua

Per i nostri figli che gridano di paura nella notte

Per i genitori che portano infanti con la disperazione e le tenebre nel cuore

Per una porta che si chiude: chi si alzerà per aprirla prima che il giorno finisca?

Con le mie lacrime e con le mie incessanti preghiere

E con le lacrime di tutte le donne che soffrono di un dolore profondo

In questi tempi duri

Io stendo in alto le mani a te supplicando

Ti prego, Signore, abbi compassione di noi

Ascolta la nostra voce, o Signore nostro Dio, in questi giorni cattivi 

Cosicché non disperiamo e possiamo vedere la vita l’uno dell’altro

E avere compassione l’uno dell’altro

E soffrire l’uno per l’altro

E sperare insieme l’uno per l’altro.

E che le nostre vite siano iscritte nel libro della vita

Per amor Tuo, Dio vivente

Fa’ che scegliamo la vita,

perché Tu sei Pace e la Tua casa è Pace

e tutto ciò che è Tuo è pace.

E così sia la [Sua] volontà, e diciamo Amen.

Il Signore dia forza al Suo popolo

Il Signore benedica il suo popolo con la pace.

Un sacerdote ha poi letto una sua versione, adattata all’occasione, della preghiera per lo Stato di Israele, che inizia con le parole «Padre nostro che sei nei cieli, roccia di Israel e suo redentore». Ha poi cantato il Padre nostro cristiano in ebraico. Dopo di lui un ebreo ha recitato una versione “al plurale” della benedizione sacerdotale.

Fra i molti interventi che si sono susseguiti sul palco, il più pregnante è stato forse quello di Yuval Noah Harari, storico, filosofo e saggista, una delle principi figure di riferimento del movimento per la pace e la coesistenza dei due popoli, ebrei e palestinesi, sulla stessa terra «dal mare al Giordano», entrambi con un legame storico e spirituale con quella terra, entrambi con il diritto di restarci, anche se non si può dire infondata la paura – da entrambe le parti – che l’altro voglia cancellarci. «Non soffriamo per la ristrettezza della terra, ma per la ristrettezza della nostra anima» (Harari usa il termine nefesh, che Manuela Dviri traduce con “anima” ma che qui potremmo anche tradurre con “mente”, mind). Tutte le anime piccole incapaci di contenere la complessità del reale cercano di cancellarlo. «Ma le anime [le menti] si possono aprire ed allargare fino a comprendere il mondo intero». «È giunta l’ora di provare a tornare alla pace. Ricordatevi che la guerra è il tentativo di menti piccole di eliminare la complessità del reale. La pace è grande; può contenere tantissimo».

Prima della conclusione sono scorse sullo schermo le immagini di tanti conflitti che hanno trovato una soluzione: dal Sudafrica di Nelson Mandela e Desmond Tutu, all’Irlanda uscita da un conflitto durato secoli, alla guerra civile in Ruanda, fino agli accordi di pace fra Israele ed Egitto.

Due tenerissime ragazze di 15 e 16 anni, entrambe studentesse delle scuole bilingui di Yafo, hanno introdotto gli interventi di alcuni parlamentari della Keneset: Gilad Kariv e Naama Lazini, Ayman Odeh. 

L’incontro si è concluso con l’invito sul palco di tutti gli attivisti e i partecipanti all’incontro e con un ultimo contributo musicale: Shiru shalom “Cantate la pace” (il nome del gruppo purtroppo non l’ho capito).

Fra le organizzazioni che hanno aderito figuravano:

Zazim – Community Action | Women Wage Peace | Standing Together | New Israel Fund (NIF) and Shatil | Peace Now | Mehazkim | A Land for All (ALFA) | Israeli-Palestinian Bereaved Families for Peace | Abraham Initiatives | Rabbis for Human Rights | Mizrahi Civic Collective | The Faithful Left | Mothers Against Violence | Peace NGO Forum | Psychoactive | Other Voice | Social Workers for Peace and Welfare | Mothers’ Cry | Kedma for Equality in Education | Challenge (Etgar) | Forum 1325 for a Political Agreement | The Policy Working Group | Ilham – The Day After | The Anti Occupation Bloc – Haifa | Ir Amim | Itach-Ma’aki – Women Lawyers For Social Justice | Combatants for Peace | The Negev Coexistence Forum For Civil Equality | Sadaka-Reut Arab Jewish Youth Partnership | All Its Citizens | Haqaya Story Association | Breaking the Silence | Kahanism, Racism and Homophobia – Not In Our School | MachsomWatch | Parents Against Child Detention | Jordan Valley Activists | Social Workers for Democracy | The Peace Partnership | Israelis and Palestinians for Peace | Yesh Gvul | Torat Tzedek | Isha l’Isha Haifa Feminist Center | Bimkom – Planners for Planning Rights | Emek Shaveh | Culture of Solidarity | Masad – The Social Democratic Camp | Tlalmim – Young Adults in the Reform Movement | Sulha Peace Project | J Street – Israel | Principles for Peace Foundation (P4P) | The Robert Weil Family Foundation | Uniting for a Shared Future | B8 of Hope | [e altre] 

Il discorso di Yuval Harari è pubblicato in italiano su www.gariwo.net/magazine.

Tutta la manifestazione è ancora rivedibile a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=nW8kFyft54s 

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